CONSIDERAZIONI SULLA TECNICA DEL CANTO ITALIANO DAL SEC. XVI AI GIORNI NOSTRI
(English)

di Antonella Nigro

Estratto dal libro: Celebri Arie Antiche: le più note arie del primo Barocco italiano trascritte e realizzate secondo lo stile dell'epoca di Claudio Dall'Albero e Marcello Candela, Rugginenti Editore, Milano, 1998.

Per gentile concessione della casa editrice Rugginenti (ora Volonté&Co).

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Individuare il mezzo sonoro originale della musica del passato è una delle esigenze primarie al fine di ricreare interpretazioni esteticamente e storicamente corrette. Tuttavia non sempre è possibile stabilire ciò con esattezza, soprattutto per quel che concerne le composizioni vocali. Infatti, mentre si ha a disposizione un campionario relativamente vasto di strumenti musicali dell’epoca in grado di fornire dati reali e oggettivi delle proprie peculiarità, nel canto si identifica il suono prodotto con l’esecutore stesso. La voce umana è estremamente duttile, e varia in base alle caratteristiche anatomiche, al gusto e al bagaglio tecnico del cantante. Intervengono inoltre fattori molteplici di ordine culturale, sociale, antropologico, etc., mutevoli nel tempo.

Sintomatico di tale variabilità si presenta l’ascolto delle prime incisioni fonografiche: le voci di celebri cantanti dell’inizio del nostro secolo vengono generalmente ritenute non aderenti al gusto odierno; se si riscontra una grande differenza dopo appena cento anni, c’è da chiedersi quale potrebbe essere la sorpresa ascoltando musica cantata in un passato ancora più remoto.

Le posizioni dibattute da musicisti e studiosi per definire un’appropriata esecuzione vocale all’antica sono discordanti. Dall’area culturale nordeuropea provengono accreditate opinioni in merito, secondo le quali è necessaria un'emissione con poco vibrato quando non del tutto assente. Quantunque consenta una pulizia estrema nell’intonazione, tale pratica si discosta fortemente dalla consuetudine del canto italiano di tradizione, pur rispecchiando i costumi musicali dei popoli nordici.

Nel crocevia delle controversie filologiche ancora irrisolte una direzione alquanto precisa è indicata dagli scritti dell’epoca. Fra il XVI e il XVII secolo diverse opere, pur se brevemente, trattano dell’arte del canto. Su Prattica di Musica(1), uno dei primi testi in cui si trovino ampi accenni all’argomento, Ludovico Zacconi afferma:

Il tremolo nella musica non è necessario; ma facendolo oltra che dimostra sincerità, e ardire; abbellisce le cantilene(2) [...] dico ancora, che il tremolo, cioè la voce tremante è la vera porta d’intrar dentro a passaggi(3), e d’impatronirsi delle gorge [...] Questo tremolo deve essere succinto, e vago; perché l’ingordo e forzato tedia, e fastidisce: Ed è di natura tale che usandolo, sempre usar si deve [sic]; accioché l’uso si converti in habito; perché quel continuo muover di voce aiuta, e volentieri spinge la mossa delle gorge, e facilita mirabilmente i principij de passaggi(4)

Considerando le indicazioni riportate è lecito desumere che il ‘tremolo’ zacconiano non è né un mezzo enfatico da usarsi quale effetto in funzione espressiva, né tantomeno un ornamento, come il trillo o il mordente(5): si pone invece quale attributo costante e ideale della voce. I tratti paradigmatici con i quali Zacconi delinea il ‘tremolo’ coincidono quasi integralmente con quelli caratterizzanti l’odierno vibrato. è però doveroso distinguere il vibrato naturale da quell’effetto sonoro per cui si producono oscillazioni tanto ampie (frutto, in genere, di tentativi di aumentare il volume del mezzo vocale), da pregiudicare l’intonazione e la qualità del suono. Ulteriori motivi di confusione provengono poi da varie pratiche artificiose, come l’impiego del diaframma per ‘muovere’ intenzionalmente il suono tramite piccoli impulsi, similmente alla tecnica di alcuni strumentisti a fiato, oppure contrarre più o meno rapidamente i muscoli laringei, costume relativamente diffuso tra i cantanti di musica pop, leggera e popolare. Questi espedienti non abbelliscono la voce né danno enfasi al canto; si può congetturare che Zacconi si riferisse a qualcosa di analogo parlando di tremolo ‘ingordo e forzato’ che ‘tedia e fastidisce’.

Una ragionevole supposizione è che anche i cantanti del passato praticassero un controllo della respirazione:(6) «L’ottava [regola è n.d.r.] che spinga appoco appoco con la voce il fiato»(7). Le parole di Camillo Maffei sembrano descrivere una tecnica di emissione simile a quella usata per il canto odierno, nel quale il dosaggio del fiato provoca la vibrazione involontaria della voce. Anche nel periodo barocco probabilmente il vibrato faceva parte del bagaglio tecnico del cantante, senza correlazioni con finalità espressive. Si può affermare che - contrariamente all'opinione invalsa anche presso i musicisti - fissare la voce sia un effetto alquanto innaturale e meccanico, conseguente all’irrigidimento dei muscoli laringei e all’espulsione incontrollata del fiato. Cantando è possibile sospendere la vibrazione del suono volontariamente o meno, ma va detto che la voce della maggior parte di coloro che cantano senza cognizione è invece sempre fissa in quanto generata da un’emissione errata. (>>>Continua...)

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(1) LUDOVICO ZACCONI, Prattica di Musica, Venezia, Bartolomeo Carampello, 1596; rist. anast. Bologna, Forni, 1983.

(2) Ib. Libro I, f. 55 Cap. LXII.

(3) Diminuzioni e passi di agilità improvvisati. Premesso che l’arte di ‘passeggiare’ costituiva uno dei capitoli essenziali nella formazione dei cantanti dal XVI al XIX secolo, il lettore interessato a questo aspetto di fondamentale importanza per l’esecuzione delle arie di quel periodo, troverà utile la consultazione delle opere citate nel presente scritto e nella bibliografia generale alla voce riproduzioni in fac simile. Cfr. anche il paragrafo diminuzioni nelle Note sui criteri di realizzazione redatto dagli Autori.

(4) Ib. Libro I, f. 60 Cap. LXVI.

(5) È questa la tesi sostenuta da R. THURSTON DART in The interpretation of Music, London, Hutchinson University Library, 1954, ed. 1967 pag. 50, ove ritiene che il vibrato della voce sia un effetto come il trillo o il mordente, e come tale vada impiegato; secondo il musicologo inglese le voci vibrate sarebbero perciò assolutamente inservibili nella musica antica, sia per la polifonia che per il canto solistico.

(6) Alcune indicazioni circa la respirazione finalizzata al canto si possono reperire anche in: PIER FRANCESCO TOSI, Opinioni de’ Cantori Antichi e Moderni, Bologna, Lelio dalla Volpe, 1723 - Rist. con note ed esempi di Luigi Leonesi, Napoli, Di Gennaro & Morano, 1904; rist. anast. Bologna, Forni ed., 1985. A pag. 65 si legge: 'Il Maestro può correggerne lo Scolaro con quegl’insegnamenti da cui si impara di far un buon uso del respiro, di provvedersene sempre più del bisogno, e di sfuggir gl’impegni se ’l petto non resiste. In ogni composizione gli faccia poi conoscere il sito di respirare, e di respirar senza fatica, poiché ci sono de’ cantanti, che con affanno di chi sente penano come gli asmatici ripigliando stentatamente fiato ad ogni momento, o arrivando all’ultime note sfiatati morti.'

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(7) GIOVANNI CAMILLO MAFFEI, Delle lettere del Signor G. C. M. da Solofra libri due: dove tra gli altri bellissimi pensieri di Filosofia e di Medicina v’è un discorso della voce e del modo d’apparar di garganta senza maestro, Napoli, 1562; in Revue de Musicologie, n. 38 (1956), pag. 20.