- 2 -

Nonostante le proposte vocali trasmesse dai mezzi di comunicazione negli ultimi decenni, ancora oggi esistono persone che, senza avere mai affrontato studi specifici, e per di più prescindendo dall'ascolto di voci colte, cantano con franchezza, manifestando un morbido e fresco vibrato. Riesce difficile credere che un ipotetico ascoltatore del passato stimasse una voce dalle siffatte caratteristiche difettosa e inutilizzabile a fini artistici, come ancora sostenuto da qualche studioso.

Le registrazioni effettuate dai cantanti dell'inizio del nostro secolo, palesano degli 'specimina' assai diversi dallo standard vocale della cultura musicale contemporanea. Si possono riconoscere i suddetti suoni 'fermi' o anche non vibrati, che si configurano però come episodi occasionali, dettati da situazioni contingenti l'esecuzione stessa. Se la voce non vibra a causa di una necessità espressiva o di pronunzia del testo (si ascoltino ad es. le Lamentationes Jeremiae declamate/cantate da Alessandro Moreschi (8), o le altre incisioni dello stesso cantore) il suono rimane comunque morbido, e le note non vibrate non sono mai fisse. Questa vocalità diverge dalle consuetudini del canto lirico odierno, ma è anche ben lontana dalle voci dure proposte da molti esecutori nordeuropei.

Nel '500 la polifonia vocale rappresentò quasi la totalità della produzione musicale. Usualmente l'esecuzione 'a cappella' non teneva conto dell'altezza assoluta delle note; l'unica raccomandazione era di 'avere riguardo a quelli che hanno da cantare, che stiano commodi di tuono, né troppo alto, né troppo basso' (9) (nel corso dei secoli questi suggerimenti rimarranno sempre validi; si veda ad es. Scola di Canto Fermo (10) del 1715, o la prefazione di Raffaele Casimiri alle 'opera omnia' palestriniane più sotto citate alla nota 15). La tipologia classica dei ruoli in polifonia prevedeva la parte del 'bassus' eseguita da un basso, il 'tenor' cantato da una voce virile centrale, l''altus' da un tenore acuto che sfruttava le risonanze di testa in una tessitura molto alta, e infine un 'puer' o un falsettista per la parte del 'cantus'. Spesso si trovano scritture polifoniche apparentemente molto acute rispetto ad una siffatta distribuzione delle voci. Tali ambiti melodici non sono però da considerarsi riferiti alle altezze reali; infatti in presenza delle cosiddette 'chiavette' o 'chiavi trasportate' l'esecuzione vocale (11) avveniva solitamente alla quarta o alla quinta inferiori.(12)

Non sempre i cantori si identificavano rigidamente con il ruolo vocale che sostenevano:

"Or dico dunque, che queste voci nascono dalla propria materia della canna; et intendo per la canna tutte le parti sopradette, che concorrono a far la voce, si che, se quella sarà molle, farà la voce flessibile, pieghevole, e variabile. Ma se per sorte sarà dura, farà la voce riggida, e dura. Percioche essendo duro l'istromento, non puo (come bisognaria) piegarsi; si come essendo molle, aggevolmente piegandosi, puo formare, e fingere ogni sorte di voce. E di qui nasce, che molti sono i quali non ponno altra voce ch'il basso cantare. E molti anchora se ne veggono che non sono, se non ad una delle voci del conserto inchinati, e quella con grandissimo fastidio dell'orecchia, appena cantano. E per il contrario, poi se ne trovano alcuni, ch'il basso, il tenore, et ogni altra voce, con molta facilità cantano; e fiorendo, e diminuendo con la gorga, fanno passaggi, hora nel basso, hora nel mezzo, et hora nell'alto, ad intendere bellissimi."(13)

Nella musica profana la parte superiore poteva essere cantata anche da donne (14), ma verso la fine del XVI secolo sulla scena musicale italiana comparvero i cantori evirati, 'terzo sesso' a cui venivano affidati i ruoli di soprano e di contralto (15). La maggior parte delle arie composte nel '600 e nel '700 - come molte di quelle contenute in questa raccolta - furono a loro destinate. Un approccio alla vocalità di questi esecutori leggendari si rivelerà indubbiamente proficuo al fine di determinare una corretta linea interpretativa. (>>>Continua...) (<<<Precedente)

- 2 -

pagg. 1 - 3 - 4 - 5 - 6 - 7


(8) Alessandro Moreschi (1858 - 1922), soprano evirato della Cappella Sistina che meritò l'appellativo di 'angelo di Roma', registrò nel 1902-3 circa dieci dischi G&T. Tali incisioni sono state riportate nel CD The last castrato, assai diffuso negli USA. Recentemente il 'Crucifixus' della Petite Messe Solennelle di Rossini (in origine G&T 54764 aut 54773) è stato inserito nella 'compilation' EMI Classics NS01 L'epoca dei castrati. Tutte le incisioni effettuate da Moreschi sono contenute nel CD della Fonit Cetra Alessandro Moreschi, Le registrazioni integrali - coll. Le grandi voci Italiane, vol.9, CDO 519 (1997).

(9) L. ZACCONI, op. cit. Libro I, f. 78 Cap. LXIX.

(10) FABIO SEBASTIANO SANTORO, Scola di Canto Fermo, Napoli, 1715, Novello de Bonis ed. pag. 255.

(11) Come è facilmente intuibile, il trasporto alla quarta o alla quinta inferiore poteva non essere praticato in caso di esecuzioni esclusivamente strumentali. Si veda ad es. la Cartella Musicale di Adriano Banchieri, Venezia, Giacomo Vincenti, 1614 (trascrizione in notazione moderna a cura di A. Bornstein, Bologna, Ut Orpheus Edizioni, 1994) ove ad es. nei Duo si legge: 'Duo del Quinto Modo autentico, non corrisponde al tuono. Questo Quinto Modo corista et trasportato è comodo per strumenti acuti, ma riesce incomodo per le voci (...) Per strumenti acuti. Trasportato una quarta sotto (è adatto, n.d.r.) per voci umane'.

(12) A proposito delle 'chiavette' e della loro relazione con la modalità d'impianto dei brani, cfr. l'articolo di H. K. ANDREWS, Transposition of Byrd's vocal polyphony in Music & Letters, vol. 43, 1962, pagg. 25-37; o anche ARTHUR MENDEL, Pitch in the 16th and early 17th centuries. Parte I (pagg. 28-45), parte II (pagg. 199-221), parte III (pagg.336-357), parte IV (pagg. 575-593) in The Musical Quarterly, vol. XXXIV, 1948. Cfr. anche la Cartella Musicale di A. BANCHIERI (v. nota precedente). Esistevano altresì le 'chiavette' che determinavano trasporti alla quarta o alla quinta superiore, utilizzate in Italia soprattutto da Giovanni Gabrieli. Un recente apporto all'analisi di questo controverso argomento è stato dato da PATRIZIO BARBIERI nel saggio 'Chiavette' and modal transposition in Italian practice (c.1500 - 1837), in Recercare, vol. III, 1991, pagg. 5-79. Comunque l'assenza in quell'epoca di un 'diapason' adottato universalmente rende impossibile la definizione oggettiva delle altezze dei suoni sia nelle esecuzioni con accompagnamento strumentale che, ancor più, in quelle 'a cappella'.

(13) G. C. MAFFEI cit. pagg. 17-18.

(14) Esistono rari esempi di musica sacra cantata da donne in chiesa. Valga, uno per tutti, quanto dichiarò Ignazio Donati negli 'Avvertimenti spettanti alla presente opera' sui suoi Salmi: 'Et volendo servirsene le Monache potranno cantare il Basso all'Ottava alta, che riuscirà un Contralto.' (IGNAZIO DONATI, Salmi Boscarecci concertati a 6 voci,Venezia, Alessandro Vincenti, 1623). Tuttavia la pratica del canto liturgico fu sempre strettamente riservata agli uomini. Si veda in proposito quanto scritto nella nota seguente.

(15) Capitava pure che gli evirati cantori entrassero a far parte delle cappelle musicali in un registro vocale diverso da quello che interpretavano nelle opere. Giovanni Francesco Grossi, detto 'Siface', ricopriva sulle scene ruoli da contralto, ma come risulta dall'esauriente indagine di Enrico Celani, fu ammesso il 10 aprile 1675 come soprano nella Cappella Sistina (Cfr. ENRICO CELANI, I Cantori della Cappella Pontificia nei secoli XVI-XVIII, in RMI, 1907, vol. XIV pag. 87 e RMI, 1909, vol. XVI, pag. 65). I contralti dello stesso coro papale, erano quindi solitamente tenori acuti, nonché uomini a tutti gli effetti; questa tesi è supportata, tra l'altro, dalle dimissioni volontarie presentate dal contralto Lorenzo Sanci. Risulta infatti dal diario della Cappella 'che (il 10 dicembre 1626) il Signore Iddio lo chiamava ad altro stato essendosi risoluto di pigliar moglie' (Ib., RMI 1907 vol. XIV pagg. 775-776). L'esecuzione della musica liturgica risentiva ancora della prassi rinascimentale che voleva la parte dell''altus' cantata dai tenori acuti: tradizione questa sopravvissuta fino al nostro secolo nelle cappelle romane. Si veda anche la prefazione di Raffaele Casimiri de Le Opere complete di Giovanni Pierluigi da Palestrina secondo la ristampa del 1590 - per cura e studio di Raffaele Casimiri, vol. III e altri curati da Casimiri, Roma 1939, ed. Fratelli Scalera, in cui si legge: 'Soltanto la parte o voce del 'cantus' era affidata - e sarà quindi da affidare - ai 'putti cantori' o fanciulli, sia pur sorretti da qualche voce-guida di falsetto. La parte o voce dell'altus dovrà essere sostenuta - come anticamente - da giovani tenori acuti. Di conseguenza (...) è necessario 'intonare' le composizioni in modo che la parte o voce dell'altus non superi mai nella regione acuta la nota 'la' del nostro attuale corista (la - 870)'.