- 3 -

Gli evirati cantori potevano sostituire egregiamente bambini e falsettisti. In special modo il 'puer' rappresentava un investimento svantaggioso, in quanto la 'muta' sopraggiungeva in età puberale troncando irreversibilmente quella carriera di soprano intrapresa solo pochi anni prima.

I castrati, come ha scritto Rodolfo Celletti (16), professavano la loro arte con una dedizione assoluta 'giacché l'altro punto di forza dei castrati fu che l'orchiotomia, precludendo certi rapporti, certi obiettivi dell'uomo normale - uno per tutti: la famiglia - fatalmente li destinava ad assumere, nel mondo dell'opera, una funzione che potremmo quasi definire sacerdotale. Di qui studi ed esercitazioni di particolare rigore che assorbivano praticamente tutta la giornata del neofita'. Il Bontempi, nell' Historia Musica (17), scrive:

"Le scuole di Roma obbligavano i discepoli ad impiegare ogni giorno un'ora nel cantar cose difficili e malagevoli per l'acquisto dell'esperienza. Un'altra nell'esercizio del trillo (18). Un'altra in quello de' passaggi. Un'altra negli studi delle lettere ed un'altra agli ammaestramenti ed esercizi del canto, e sotto l'udito del Maestro ed avanti ad uno specchio per assuefarsi a non far moto alcuno inconveniente né di vita né di fronte né di ciglia né di bocca. E tutti questi erano gli impieghi della mattina. Dopo il mezzodì si impiegava mezz'ora negli ammaestramenti appartenenti alla teorica: un'altra mezz'ora nel contrappunto sopra il canto fermo, un'ora nel ricevere e mettere in opera i documenti del contrappunto sopra la cartella [tavoletta smaltata per scrivere e cancellare esercizi musicali; n.d.r.]; un'altra negli studi delle lettere; ed il rimanente del giorno nell'esercitarsi nel suono del clavicembalo, nella composizione di qualche salmo o mottetto, o canzonetta, o altra sorta di cantilena secondo il proprio genio. E questi erano gli esercizi ordinari di quel giorno nel quale i discepoli non uscivano di casa. Gli esercizi poi fuori di casa erano l'andar spesse volte a cantar, e sentire risposta da un'eco fuori della Porta Angelica verso Monte Mario, per farsi giudicare da se stesso de'propri accenti: l'andar a cantare quasi in tutte le musiche, che si facevano nelle chiese di Roma: e l'osservare le maniere del canto di tanti cantori insigni, che fiorivano nel pontificato di Urbano VIII, l'esercitarsi sopra quelle; e renderne le ragioni al Maestro, quando si ritornava a casa, il quale poi per maggiormente imprimerle sulla mente dei discepoli, vi faceva sopra i necessari discorsi e ne dava gli opportuni avvertimenti."

L'utilizzo dei castrati nella liturgia - delicata 'quaestio' trattata con riserbo dalla Chiesa - risolveva cavillosamente quanto prescritto dalla norma ecclesiastica secondo cui l'ordine del 'lettore', a cui appartenevano i cantori, doveva essere rivestito da uomini. Avendo preso gli ordini minori, il cantore faceva parte del clero e partecipava attivamente all'azione liturgica, come i sacerdoti o i diaconi: era indispensabile quindi che fosse di sesso maschile, almeno nominalmente. Il crescente successo conseguito da questi artisti affascinò i compositori per le nuove e virtuosistiche possibilità espressive, e intrigò il pubblico solleticato anche nella sua curiosità morbosa. (>>>Continua...) (<<<Precedente)

- 3 -

pagg. 1 - 2 - 4 - 5 - 6 - 7


(16) RODOLFO CELLETTI, La vocalità al tempo del Tosi, in Nuova Rivista Musicale Italiana, anno IV, 1967, pagg. 676-684.

(17) GIOVANNI ANDREA ANGELINI BONTEMPI, Historia Musica, Costantini, Perugia 1695 pag. 170.

(18) Un discorso a parte merita il significato attribuito dai vari autori a questo termine. Tralasciando il trillo cacciniano 'sopra una corda sola', inteso cioè come nota ribattuta (cfr. GIULIO CACCINI, Le Nuove Musiche, Firenze, I Marescotti, 1601; anche in rist. anast. nella collana Archivum Musicum. La Cantata Barocca, n. 13 - Firenze, S.P.E.S., 1983), va rilevato che alcuni trattati fanno riferimento alla realizzazione del trillo ('groppo' secondo la terminologia di Caccini). All'inizio del XVIII secolo, Tosi afferma che 'Chi ne è privo non sarà mai un gran Cantante' (P. F. TOSI, Opinioni de' Cantori Antichi e Moderni, Bologna, Lelio dalla Volpe, 1723 - Rist. con note ed esempi di Luigi Leonesi, Napoli, Di Gennaro & Morano, 1904; rist. anast. Bologna, Forni ed., 1985 pag. 54) e che questo abbellimento dovrà essere 'eguale, battuto, granito, facile e moderatamente veloce, che sono le qualità sue più belle'. A pag. 167 delle Riflessioni, Mancini riporta integralmente dal Tosi questa stessa definizione del trillo (GIAMBATTISTA MANCINI, Riflessioni Pratiche sul canto figurato..., Rivedute, corrette, et aumentate. III ed., Milano, Giuseppe Galeazzi, 1777). A proposito dell'uso virtuosistico di tale ornamento, racconta poi che il musico Baldassarre Ferri era 'cantante unico e prodigioso (...) Egli in un sol fiato saliva e discendeva due piene ottave, continuamente trillando, e marcando tutti i gradi, oggigiorno detti cromatici, con tanta aggiustatezza, anche senza accompagnamento, che se all'improvviso l'orchestra toccava quella nota in cui egli si trovava, fosse B-molle o fosse Diesis, si sentiva nel medesimo istante un accordo così perfetto da sorprendere ognuno' (GIAMBATTISTA MANCINI, Ib., pag. 16). Proiettando l'indagine in epoche successive, è lecito chiedersi quale potesse essere l'esecuzione dei trilli nel XIX secolo. In una delle prime edizioni dell'opera Caterina Cornaro di Donizetti (Milano, ed. Ricordi G 17132 T pag. 56), nella ro-manza di Caterina, vicino ad un lungo trillo sulla nota 'fa', si trova in alternativa un 'ossia' facilitato con la didascalia 'non potendo fare il trillo'. La difficoltà di realizzazione di questo effetto è comprovata anche da quanto riporta Alberto Mazzucato nella sua traduzione del Trattato completo dell'arte del Canto di Garcìa: 'E ne sia esempio la signora Pasta. La voce di questa celebre cantante era dura e velata. Malgrado il più ostinato studio, una difficoltà naturale le aveva sempre impedito l'esecuzione del trillo, come pure delle volate ascendenti in tempo mosso; ogni sua esecuzione consisteva in scale discendenti e passi di salto. Le scale ascendenti restarono per lei d'una invincibile difficoltà; così però non fu del trillo, del quale giunse finalmente a possedere il meccanismo. Ed infatti il 15 novembre 1830 nel teatro Italiano di Parigi, dopo dieci anni di brillante carriera, fece udire nella cavatina del Tancredi il più magnifico trillo a gradazioni che immaginar si potesse. Ella lo eseguiva nel punto coronato che precede la ripresa del motivo Sarò felice (MANUEL PATRICIO RODRIGUEZ GARCÌA, ed. Ricordi 2185, Milano, 1841, Parte I a cura di Alberto Mazzucato, pag. 54). Ben diverso dal trillo articolato e 'moderatamente veloce' descritto da Tosi e da Mancini, quello di Garcìa, 'n'est qu'une oscillation régulière de bas en haut, et 'vice versâ', que reçoit le larynx. Cette oscillation convulsive prend naissance dans le pharynx par une oscillation toute pareille des muscles de cet organe' ('non è che un'oscillazione regolare della laringe dal basso in alto, e viceversa. Quest'oscillazione convulsa nasce nella faringe dall'analoga oscillazione dei muscoli di quest'organo'). Tale ornamento 'ne résulte pas de deux notes frappées l'une après l'autre et accélérées jusqu'à la plus grande vitesse (...) Ce passage ne sera jamais qu'un trait d'agilité qui peut précéder ou suivre le trille; c'est une variété du trille que l'on nomme 'trillo molle' (...)' ('non è il risultato di due note articolate l'una dopo l'altra ed accelerate fino alla massima velocità (...) Questo non sarà mai che un passo d'agilità che può precedere o seguire il trillo; non è che una varietà di trillo, chiamato 'trillo molle' (...)' - M. P. R. GARCÌA, Traité complet de l'Art du Chant, Parigi, Heugel et Cie,1840 - VII rist. 1878, pag. 42).