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Nel canto il testo è sovrano. Si pensi alla musica leggera: i brani solo strumentali sono rarissimi. Tranne sporadiche eccezioni, il repertorio è composto esclusivamente di canzoni in cui la voce, quasi sempre solista, è protagonista unica e incondizionata. Anche se la parte musicale è di mediocre livello, la voce - per quanto lontana dai parametri richiesti dallo studio del canto - assicura una comunicazione diretta con l'ascoltatore.

Ancora fino a circa cinquant'anni fa, un cantante di musica 'colta' non si esprimeva molto diversamente da un bravo esecutore del repertorio popolare o leggero, tanto che l'interscambiabilità da un genere all'altro era non solo possibile, ma agevole e frequente. Il divario che si è creato tra il cantante lirico e il pubblico odierno, dà la misura di quanto sia stata disturbata la comunicazione. La voce assimilata a uno strumento, privata del tratto distintivo che è la parola, ha perso il suo carattere di significante; la riprova è che sovente, anche fra i cultori della musica classica, la preferenza accordata all'esecuzione esclusivamente strumentale è prevalente. Questa situazione culturale, impensabile fino a pochi decenni fa, almeno in Italia, è un termometro indicativo dello stato in cui versa la musica vocale odierna. L'importanza della scelta del tipo di vocalità da adottare da parte del cantante, finalizzato non solo alla bellezza e al volume bensì anche alla comprensibilità del testo, è decisiva ai fini del buon esito esecutivo. Per recuperare efficacemente un'esecuzione storicamente corretta, è utile tentare di ristabilire un'integrità comunicativa che permetta di sottolineare, tramite la corretta dizione del testo e la conseguente sua intelligibilità, il rapporto esistente tra lo stesso e il materiale musicale creato dall'autore, agevolando così azioni interpretative semanticamente coerenti.

In conclusione, l'esattezza della pronunzia dovrebbe essere requisito fondamentale: '[Il maestro; n.d.r.] Faccia profferir distintamente allo Scolaro le vocali, acciò siano intese per quelle, che sono' (46). Le vocali aperte andrebbero ben distinte da quelle chiuse, così come le consonanti semplici dalle doppie, osservando anche quanto prescritto dal fenomeno ortoepico del raddoppiamento sintattico ('Che fiero costume' e 'Tu mancavi a tormentarmi', in italiano si pronunciano correttamente 'Cheffièro costùme' e 'Tummancàvi attormentàrmi').

Dopo che lo Scolaro si sarà impadronito francamente del Trillo e del Passaggio il Maestro gli dovrà far leggere, e pronunziare le parole senza quegli erroracci ridicoli d'Ortografia in cui molti tolgono a qualche vocabolo le sue doppie consonanti per regalarle a un altro, che le ha semplici.

Corretta la pronunzia procuri, che profferisca le medesime parole in maniera, che senza affettazione alcuna siano così distintamente intese, che non se ne perda sillaba, poiché se non si sentono, chi canta priva gli ascoltanti d'una gran parte di quel diletto, che il Canto riceve dalla loro forza: Se non si sentono, quel Cantore esclude la verità dell'artificio: E se finalmente non si sentono non si distingue la voce umana da quella d'un Cornetto, o d'un Haut-bois. Questo difetto, benché massimo in oggi è poco men che comune con notabile pregiudizio de' Professori e della Professione; e pur non dovrebbero, che le parole son quelle, che li fanno prevalere a sonatori, quando sieno d'uguale intendimento.

Il Maestro moderno sappia servirsi dell'avviso, perché la correzione non è stata mai tanto necessaria come adesso.(47)

Le regole e gli avvertimenti commendati dal Tosi potrebbero apparire superflui, ma radicate abitudini di studio hanno indotto molti cantanti in equivoco; alcuni di essi associano il binomio: voce grave = suono scuro (che è anche ritenuto sinonimo, affatto arbitrario, di bello); all'opposto, la costruzione del timbro scuro ha reso innaturali quasi tutte le voci, soprattutto quelle femminili.

Come già ampiamente esposto, è manifesta l'importanza dello studio per mescolare il registro di petto con quello di testa celando il passaggio dall'uno all'altro. Poiché 'La voce di testa è facile al moto, possiede le corde superiori più che le inferiori, ha il trillo pronto, ma è soggetta a perdersi per non aver forza, che la regga' (48) è necessario unirla a quella di petto formando così un registro speciale intermedio che operi come 'medium' dall'una all'altra occultando il cosiddetto 'gradino'. Le voci maschili dovrebbero cantare le note acute utilizzando anche i suoni di testa. Questa tecnica accresce le possibilità espressive e di dolcezza vocale, e rende possibile l'esecuzione pulita di passi d'agilità: 'Tutta la bellezza del Passaggio consiste nell'esser perfettamente intonato, battuto, granito, eguale, rotto e veloce' (49). Analogamente le voci femminili, in particolare i soprani, dovrebbero cantare le note centrali e basse mescolando gradualmente il suono di testa con quello di petto, in modo da rafforzare quella zona vocale medio-grave di solito poco consistente.

L'osservanza di poche e semplici raccomandazioni desunte dai più autorevoli testi del passato non va intesa come un arido ripristino di formule desuete e fuori moda; d'altronde, una ricostruzione assolutamente identica del canto del passato è irrealizzabile. Le antiche regole sono oramai disgiunte da quelle attuali, tanto da rivelarsi paradossalmente nuove. Si può sperare che il loro reimpiego, ricostituendo il naturale e salubre atteggiamento fonatorio, possa emendare molti errori ed abusi che hanno portato alla decadenza del canto e all'allontanamento del pubblico da esso. 'E finalmente faranno sentir le Arie, più gustose e meno simili: Più naturali, e più cantabili'. (50) (<<<Precedente)

ANTONELLA NIGRO

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(46) P. F. TOSI, op. cit. pag. 43.

(47) P. F. TOSI, op. cit. pagg. 64 e 65.

(48) P. F. TOSI, op. cit. pag. 43.

(49) P. F. TOSI, op. cit. pag. 64.

(50) P. F. TOSI, op. cit. pag. 93.